SPERANZE E TIMORI DA GIARDINETTO
Negli ultimi mesi stiamo seguendo con particolare apprensione la vicenda Giardinetto. L’inizio del nuovo processo ha acceso la speranza di riuscire ad avere una verità giudiziaria ma soprattutto una verità sull’eventuale pericolo per la salute degli abitanti delle campagne circostanti lo stabilimento dell’ex fornace, degli abitanti del Borgo ma anche di quelli dei Comuni del comprensorio.
Siamo stati entusiasti per il considerevole numero di parti civili: singoli cittadini, associazione e Comuni che si sono inseriti nel processo penale non tanto per ottenere un risarcimento economico dei danni, ma per ottenere giustizia e soprattutto la bonifica del sito. Il coinvolgimento di tutti questi soggetti è stato inoltre un segnale positivo che ci lasciava sperare in una maggiore coscienza sociale, maggiore partecipazione, maggiore impegno da parte della popolazione, della cittadinanza attiva e delle Istituzioni.
A partire da febbraio, mese in cui si è svolta la prima udienza dibattimentale, siamo stati presenti in Tribunale, ai vari sopralluoghi del perito, abbiamo incontrato il pubblico ministero, il Procuratore della Repubblica di Lucera, abbiamo parlato con esperti e consulenti e man mano è cresciuto un senso di inquietudine: tante le stranezze in questa vicenda che fanno temere che anche questa volta, come dieci anni fa, il tutto finisca con un nulla di fatto. Timore alimentato da ritardi e da una serie di percezioni: da più parti abbiamo sentito parlare di probabile nuova prescrizione dei reati, in più occasioni si è parlato del sito della I.A.O. srl come luogo ideale per stoccare rifiuti tossico-nocivi dato le sue caratteristiche geomorfologiche, spesso abbiamo ascoltato preavvisi circa l’impossibilità di una eventuale contaminazione esterna data l’azione di impermeabilizzazione dell’argilla.
Intendiamoci, non vogliamo essere a tutti i costi catastrofisti, sarebbe infatti un sollievo per tutti sapere che Giardinetto non rappresenta un rischio per il nostro ambiente e per la nostra salute. Tuttavia, nel vedere la quantità di rifiuti e nel sentire il fetore proveniente dai fanghi interrati, qualche dubbio ci assale.
In questi mesi avremmo voluto vedere una magistratura meno “ingessata” e più rapida nei tempi (ricordiamo che ai fini della prescrizione dei reati l’inizio del termine decorre dal sequestro avvenuto nel febbraio 2009). Avremmo desiderato essere tranquillizzati da un lavoro di indagine che seppur svolto con indubbia professionalità dal CTU, risultasse più completo e sistematico, frutto magari, di un pool di tecnici che oltre ad un ingegnere ambientale, prevedesse anche la presenza di un geologo, di un chimico e di un medico. Avremmo auspicato la partecipazione più attiva, attenta e costante dei tecnici di parte che avrebbero dovuto affiancare il consulente tecnico nominato dal giudice nell’esecuzione del suo incarico esprimendo le proprie osservazioni a supporto o a critica delle attività e successivamente del risultato al quale il perito giungerà.
Avremmo immaginato, davanti ad una violenza così grave inferta alla nostra madre terra, un risveglio della coscienza civica dei cittadini. Al di là di quelli che saranno i risultati della perizia, il nostro territorio è stato seriamente alterato, violentato, snaturato e modificato da qualcuno che in maniera illecita (possiamo dirlo con certezza visto la sentenza in primo grado già emessa dal Tribunale di Lucera) ha trasportato tonnellate e tonnellate di rifiuti speciali. E questo deve rappresentare un monito per tutti noi, un richiamo al bene comune contro la logica dello sfruttamento.